L’ARNICA “STARNUTELLA”
Arnica montana è una pianta protetta appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Compositae.
Il nome deriva dall’alterazione del greco “ptarnikè”, che proviene da “ptarnòs” e significa “ciò che fa starnutire”, perché le foglie e i fiori dell’arnica, se inalati, sono starnutatori. Le foglie venivano anticamente fumate al posto del tabacco, e per questo la pianta era conosciuta con il nome di “tabacco di montagna”.
Il genere Arnica è diffuso in tutte le montagne del continente europeo. In Italia si può trovare nei pascoli e nelle brughiere delle zone alpine a un’altitudine che varia dai 500 a oltre i 2000 metri; resistente al rigore invernale, predilige suoli acidi-subacidi arricchiti di sostanza organica e fiorisce nei mesi di giugno e luglio.
È un’erbacea perenne alta dai 20 ai 60 cm; ha un rizoma robusto dal quale origina un fusto eretto, villoso, alla cui base si trovano foglie lanceolate disposte a rosetta. Le foglie sono pubescenti sopra, glabre sotto e opposte. Produce 1-3 capolini larghi 5-8 cm, con fiori ligulati lunghi 15-25 mm, di colore giallo-oro. Ha un odore debolmente aromatico e un sapore amarognolo, leggermente piccante e speziato. Caratteristico è il frutto, costituito da acheni pubescenti sormontati da un pappo di setole bianche, ispide e ruvide.
La droga è in genere costituita dal fiore, ma secondo alcuni autori anche dal rizoma con le radici.
Il fitocomplesso è caratterizzato dalla presenza di numerosi e interessanti componenti, fra cui spiccano: i lattoni sesquiterpenici, in particolare l’elenalina come componente principale, la diidroelenalina e relativi esteri acetati, isobutirrati, tigliati e isovalerati, che conferiscono alla droga il caratteristico sapore amaro; un olio essenziale, seppur in modesta quantità (circa lo 0,5%), in cui si ritrovano timolo e derivati, oltre a felandrene, mircene, umulene, cadinene e altri; carotenoidi, responsabili del colore caratteristico dei fiori; flavonoidi, sia come agliconi che come glicosidi (ad es. astragalina, isoquercitrina, luteolina-7-glicoside); cumarine; acidi fenolici espressi come acido caffeico, cinarina, acido clorogenico, acido caffeoilchinico; triterpeni; fitosteroli; acidi grassi; polisaccaridi, in particolare inulina e mucillagini; alcaloidi in tracce; amine come betaina e colina.
La Farmacopea Europea IV edizione descrive Arnica montana e ne definisce il titolo minimo in lattoni sesquiterpenici, espressi come elenalina, pari allo 0,4%.
In Germania l’arnica è descritta nella farmacopea tedesca nella varietà Chamisso subspecie foliosa. In alcuni paesi, fra cui l’Italia, la raccolta dell’Arnica montana spontanea per uso industriale è stata interdetta, essendo una specie appartenente alla flora protetta e a rischio di estinzione in alcune aree.
L’arnica viene storicamente utilizzata per le proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antiecchimotiche.
Queste azioni vengono prevalentemente attribuite al sinergismo tra i lattoni sesquiterpenici e i flavonoidi.
I lattoni sesquiterpenici dell’arnica, in particolare elenalina e diidroelenalina, hanno dimostrato la capacità di controllare l’infiammazione grazie all’inibizione della migrazione chemiotattica dei leucociti polimorfonucleati e alla relativa rottura delle membrane lisosomiali, riducendo così la liberazione di sostanze citotossiche e pro-flogogene da parte di queste cellule.
Sempre a questi componenti è stata attribuita anche un’attività di controllo dell’aggregazione piastrinica, mediante l’inibizione reversibile delle ciclossigenasi, azione potenziata dalla presenza di carotenoidi e flavonoidi contenuti nel fitocomplesso.
L’elenalina e la diidroelenalina hanno evidenziato la capacità di impedire l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kappaB, coinvolto nell’iniziazione del processo infiammatorio.
Gli acidi fenolici come il caffeico, il clorogenico e altri, presenti nel fitocomplesso dell’arnica, partecipano attivamente al controllo dell’infiammazione e delle conseguenze dell’evento traumatico: non solo hanno proprietà antiossidanti e depurative, ma sono anche noti inibitori della via classica del complemento.
L’arnica è impiegata con successo per numerose affezioni delle mucose e della pelle. Sono utilizzate contro varie forme infiammatorie delle mucose oro-faringee alla dose di 5-10 gocce di tintura, disperse in un bicchiere d’acqua o di infuso di camomilla, per toccature o sciacqui (senza deglutire) da effettuare più volte al giorno.
Le preparazioni per uso topico a base di arnica sono commercializzate con diversi gradi di concentrazione. Una formulazione efficace prevede l’utilizzo al 10% della TM realizzata secondo H.A.B. Tedesca §3. Recentemente è stata immessa in commercio una formulazione in gel a base di tintura di arnica al 24%, registrata come farmaco vegetale.
L’uso sistemico dell’arnica non è più raccomandato, poiché può causare irritazione delle mucose, cefalea, vertigini, dolori addominali, nausea, vomito, crampi, diarrea, grande debolezza muscolare, collassi, turbe vasomotorie, palpitazioni e turbe respiratorie come tachipnea.
L’ingestione di circa 30 ml di tintura al 20% può produrre sintomi gravi, ma non fatali. Per questo motivo, l’uso sistemico sicuro dell’arnica è consigliato solo in diluizione omeopatica.
L’uso più classico e accreditato dell’arnica è quello esterno, per il trattamento di ecchimosi conseguenti a distorsioni e contusioni, sequele da intervento chirurgico, disturbi della circolazione venosa e infiammazioni articolari.
Preparazioni cosmetiche a base di arnica sono consigliate come tonici per capelli e cuoio capelluto e in formulazioni antiforfora.
Per evitare fenomeni allergici o dermatiti da contatto, si tende a utilizzare prevalentemente arnica di provenienza portoghese, che per il 90% viene raccolta allo stato selvatico. Ciò rende il fitocomplesso più sicuro, poiché mostra in prevalenza il sesquiterpene diidroelenalina, che non provoca dermatiti.
Le forme farmaceutiche più diffuse sono le creme e i gel a varie concentrazioni di arnica. Si consiglia l’applicazione su cute integra, due-quattro volte al giorno. È preferibile evitare il metodo occlusivo, poiché potenzialmente irritativo. Le monografie ESCOP non pongono restrizioni all’uso topico in gravidanza e durante l’allattamento.
Danilo Carloni, farmacista, erborista, Consiglio Direttivo SIFIT
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